Non credo esistano due fasi distinte all’interno di una solida mentalità di squadra: quella offensiva e quella difensiva. L’esperienza di oltre vent’anni sui più svariati parquet nazionali, e non solo, mi ha insegnato un primo fondamentale principio: “attaccare l’attacco” dotare, cioè, ciascun atleta di una significativa mentalità aggressiva tanto da imprimere ed imporre agli avversari ritmi, accelerazioni e scelte in tempi ristretti e, soprattutto, sotto la pressione costante di chi non permette di far pensare e scegliere con calma. Il primo grande obiettivo sarà quello di obbligare gli avversari a scoprire il grado del loro patrimonio tecnico con o senza palla.
Tutto quanto accennato (ma poi per metterlo in pratica occorre tempo, dedizione ed applicazione!) permette di gettare le basi per un lavoro d’attacco costruito sotto una luce approssimativamente riconducibile alle condizioni di partita dove lo stress degli avversari, del punteggio che varia, del tempo che corre, degli arbitri con le loro decisioni ecc, renderanno il tutto meno asettico è più difficile. È quindi implicito ed evidente che non considero neppure i lavori senza difesa. Il 2v0 o, peggio, il 3v0, sono frutto di “momenti” riconducibili al massimo ad una fase di puro riscaldamento. E tale il valore da me richiesto ed atteso da questi lavori senza difesa. Desidero che il roster della mia squadra abbia presenti alcuni principi, per raggiungere le finalità d’attacco indicate dal coach, finalità collettive e mai individuali: - Capacità ad attaccare sempre il proprio avversario con o senza palla;
- Occupare le aree di pertinenza (permettere sempre vie di “luce” al passaggio di scarico del compagno che attacca);
- Mantenere le corrette spaziature tra i giocatori;
- Il “timing” con cui i cinque giocatori in campo si debbono muovere all’unisono.
Ciascuno dei punti sopra indicati risultano pilastri nella concettualità della manovra collettiva d’attacco. Ma è un errore ritenere che vadano sviluppati singolarmente. Il D.N.A. del giovane giocatore di basket deve essere fornito durante i primi rudimenti del lavoro in palestra della somma totale delle singole voci. Pensare, ad esempio, ad un atleta che possa ricevere un passaggio da un compagno senza una adeguata conoscenza dello smarcamento (in qualsiasi delle modalità con cui ciascun coach voglia insegnarlo), vuol dire fare del male, perdere tempo, non riproporre le condizioni di partita.
Per una compagine di campionati giovanili a buon livello, o di categoria immediatamente inferiore al professionismo di serie A maschile, spesso ci si trova a lavorare su un roster fisiologicamente costruito con tre esterni, un interno e un duttile (interno/esterno). Vedrei così logico applicare la costruzione dei triangoli per una organicità collettiva contro difese individuali.
A) COSTRUZIONE DEL TRIANGOLO ESTERNO
Lavoro a tre play/ala/centro. 1 gioca a due con 3 mentre 5 sale a porre il blocco sulla linea dei tre punti. Soluzioni (Diag. 1):
- 1 gioca a due verificando il backdoor se l’avversario di 3 anticipa
- 3 si allarga lavorando di spaziatura con 1 scendendo in angolo
- 5 pone pick sulla riga dei tre punti e 1 attacca il pick leggendo i comportamenti dei rispettivi difensori.
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